Paul Morrissey ha detto la sua sulla strage compiuta da Anders Breivik in Norvegia: "Viviamo tutti in un mondo fondato sull'assassinio, come ci ha insegnato la tragedia della scorsa settimana in Norvegia, che ha causato la morte di 97 persone. Tuttavia, credo che quanto successo qualche giorno fa sia niente rispetto a quanto succede tutti i giorni nel mondo da McDonald's o da Kentucky Fried 'Shit".
Parole che mi hanno riportato all'11 settembre 2001, o ai giorni immediatamente successivi, quando il musicista Karl-Heinz Stockhausen parlò degli attentati alle Torri Gemelle come della "Più grande opera d'arte mai esistita". Fu poi lo stesso Stockhausen a precisare di essere stato totalmente frainteso. Ad ogni modo, resta un punto: la libertà dell'artista non può coincidere con la libertà del delirio.
Forse sarò intrangisente, ma io credo che gli artisti abbiano una responsabilità sociale implicita nel loro lavoro. Parlano al grande pubblico e da un pulpito percepito oggettivamente come positivo. Nell'arte non vedi i compromessi della politica, la scaltrezza dell'economia, il distacco della scienza. L'arte passa agli occhi dei più come espressione di pura libertà. Non è così, perché è fatta da uomini e si sporca le mani con le cose degli uomini stessi. Ma conta la percezione: l'artista è un puro. E' uno che decolla dalla discarica della quotidianità per raccontarla, sintetizzarla e coglierne l'essenza, buona o cattiva che sia.
Ecco perché un'artista, nel comunicare il proprio pensiero, non ha meno responsabilità di un politico. Ecco perché se da un Borghezio il delirio te lo aspetti, da un Morrissey - mito della canzone del Novecento - no. Da un Morrissey non ti aspetti che confonda vite umane con manzi e vitelli. Ti aspetti magari che abbia letto Safran Foer maturando un'analoga - e per molti versi condivisibile - considerazione sugli allevamenti intensivi. Ma non che consideri "niente" la vita di un diciannovenne norvegese rispetto ad un manzo molto mal trattato prima che diventi un hamburger.
Perché un manzo, se non diventa una polpetta, resta un manzo. Quel dicianovenne avrebbe potuto diventare un cantante, un missionario, un premio Nobel, un onesto ed esemplare padre di famiglia. Certo, poteva anche diventare un Breivik. Ma un Breivik puoi tentare di recuperarlo, dopo avergli fatto scontare una pena giusta e rieducativa.
Un manzo resta sempre un manzo.
UPDATE: un lettore anonimo, nel commento lì sotto, mi fa notare di aver scritto una fesseria bestiale. L'artista in questione è Steven Patrick Morrissey. Paul è un regista. Nella fretta li ho confusi brutalmente. Chiedo venia, e ringrazio l'anonimo.
Parole che mi hanno riportato all'11 settembre 2001, o ai giorni immediatamente successivi, quando il musicista Karl-Heinz Stockhausen parlò degli attentati alle Torri Gemelle come della "Più grande opera d'arte mai esistita". Fu poi lo stesso Stockhausen a precisare di essere stato totalmente frainteso. Ad ogni modo, resta un punto: la libertà dell'artista non può coincidere con la libertà del delirio.
Forse sarò intrangisente, ma io credo che gli artisti abbiano una responsabilità sociale implicita nel loro lavoro. Parlano al grande pubblico e da un pulpito percepito oggettivamente come positivo. Nell'arte non vedi i compromessi della politica, la scaltrezza dell'economia, il distacco della scienza. L'arte passa agli occhi dei più come espressione di pura libertà. Non è così, perché è fatta da uomini e si sporca le mani con le cose degli uomini stessi. Ma conta la percezione: l'artista è un puro. E' uno che decolla dalla discarica della quotidianità per raccontarla, sintetizzarla e coglierne l'essenza, buona o cattiva che sia.
Ecco perché un'artista, nel comunicare il proprio pensiero, non ha meno responsabilità di un politico. Ecco perché se da un Borghezio il delirio te lo aspetti, da un Morrissey - mito della canzone del Novecento - no. Da un Morrissey non ti aspetti che confonda vite umane con manzi e vitelli. Ti aspetti magari che abbia letto Safran Foer maturando un'analoga - e per molti versi condivisibile - considerazione sugli allevamenti intensivi. Ma non che consideri "niente" la vita di un diciannovenne norvegese rispetto ad un manzo molto mal trattato prima che diventi un hamburger.
Perché un manzo, se non diventa una polpetta, resta un manzo. Quel dicianovenne avrebbe potuto diventare un cantante, un missionario, un premio Nobel, un onesto ed esemplare padre di famiglia. Certo, poteva anche diventare un Breivik. Ma un Breivik puoi tentare di recuperarlo, dopo avergli fatto scontare una pena giusta e rieducativa.
Un manzo resta sempre un manzo.
UPDATE: un lettore anonimo, nel commento lì sotto, mi fa notare di aver scritto una fesseria bestiale. L'artista in questione è Steven Patrick Morrissey. Paul è un regista. Nella fretta li ho confusi brutalmente. Chiedo venia, e ringrazio l'anonimo.